
In effetti, i meno abbienti mangiavano la carne solo la domenica mischiata con molto pane per fare le polpette, o addirittura solo alcune volte all'anno in occasione delle feste più importanti come Natale, Pasqua e la festa patronale. La carne di cavallo era diffusa in quanto tali animali erano usati per i lavori nei campi e come mezzo di trasporto e solo quando erano troppo vecchi per lavorare servivano come alimento. Nel periodo pasquale, in cui è tradizione mangiare l'agnello, la popolazione consumava gli scarti dell'animale, cioè le interiora. Questi servivano alla preparazione di piatti che oggi sono diventati ricercatissimi per la loro bontà e l'equilibrio dei sapori. Proprio con le interiora dell'agnello si preparavano (e si preparano) i turcineḍḍi o gnommareḍḍi o mboti, che sono involtini dal sapore deciso e prelibato, cotti sulla brace.
Altro tradizionale piatto povero della cucina salentina è la ciceri e tria. Si tratta di pasta fresca, tipo tagliatella ma senza uovo, in parte fritta in olio extravergine d'oliva e parte lessata unitamente ai ceci, servita appunto insieme ai predetti legumi. Inoltre si usano le spezie della macchia mediterranea per insaporire le preparazioni: la salvia, il rosmarino, il timo, la maggiorana, la menta e l'origano.
La fantasia domina soprattutto nei dolci che risentono dell'influenza del mondo orientale (bizantini e arabi). La presenza di ingredienti quali le mandorle, del miele e della cannella è tipica di molte regioni del vicino oriente e delle coste del mar Mediterraneo.
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